Monteverdi: un tuffo ancora nelle radici della nostra musica.
Un capolavoro che è anche un’icona del primo Seicento: il Vespro della Beata Vergine secondo Simon-Pierre Bestion e Compagnie La Tempête.

Dopo l’immersione del 2023 nella musica dei Madrigali e soprattutto nell’opera che più di tutte ha cambiato la storia della musica, Il Combattimento di Tancredi e Clorinda, quest’anno troviamo un capolavoro che è anche un’icona del primo Seicento: il Vespro della Beata Vergine.
Questa versione di Simon-Pierre Bestion alla direzione della sua Compagnie La Tempête è particolarmente interessante: il direttore ha inserito le antifone gregoriane traendo spunto dall’organizzazione del falso bordone e dell’emissione vocale proprie delle liturgie popolari di Corsica e Sardegna.
La Tempête alterna antifone gregoriane, brani di Monteverdi e salmi in fauxbourdon tratti da un manoscritto anonimo del XVII secolo conservato a Carpentras. Questi canti anonimi, ritrovati nel corso dei secoli e in tutto il bacino del Mediterraneo, sono la traccia di un’immensa tradizione orale, in cui l’armonia evoca l’Italia, la Sardegna o la Corsica. Ciò offre una panoramica abbastanza realistica di quella che poteva essere la pratica musicale alla metà del XVII secolo in tutta l’area del mediterraneo: da un lato il canto religioso monodico, dall’altro la pratica quasi improvvisata della polifonia, popolare nelle chiese, e infine la scrittura più colta e concertante di un compositore nutrito da queste diverse pratiche.
Questa interpretazione trova la sua essenza nella forza organica ed emotiva di questa vera e propria opera sacra dedicata alla Vergine Maria e trasporta gli ascoltatori direttamente nel cuore della potente scrittura di Monteverdi. Li immerge in un coro dai timbri possenti e in un’orchestra ricca di colori, offrendo loro un’esperienza sonora di giubilo.


“[…] Vespro della beatissima vergine a più voci con diversi concerti sacri adatti a cappelle o appartamenti principeschi, pezzi composti recentemente da Claudio Monteverdi e dedicati a papa Paolo V. A Venezia, presso Ricciardo Amadino, 1610”.
«Attraverso questa introduzione dell’edizione originale del Vespro della Beata Vergine si può notare come, nel 1610, Monteverdi cerchi di accattivarsi i favori del Papa. Ciò non sorprende se lo si colloca nel suo contesto: per diciannove anni, Claudio Monteverdi lavorò sotto gli auspici estremamente favorevoli del suo datore di lavoro, il Duca di Mantova, che ne incoraggiò ampiamente la creazione e gli permise di curare non meno di cinque libri di madrigali, due opere (Orfeon e Arianna) e molti balletti.
Tuttavia, l’imminente morte di quest’ultimo annuncia il declino del dinamismo artistico che caratterizzava Mantova sotto la sua autorità, e Claudio Monteverdi è quindi alla ricerca di altri ambiti che gli permettano di far brillare la sua carriera. In questo periodo, egli personalizza in modo sostanziale il suo stile e la sua fama si afferma in tutta Europa, soprattutto grazie alla sua prima opera, Orfeo (1607). Monteverdi, però, sa bene che la musica a Roma è scelta soprattutto dalla cerchia molto conservatrice del Papa, e quindi deve attenersi a certe regole.
Il pubblico non poteva che essere sorpreso, dopo tutti questi anni di musica profana, quando scoprì nel 1610 una raccolta di musica sacra. Tuttavia, secondo me, Monteverdi non si ferma qui: mescola il teatro ai suoi Vespri. Fin dal primo brano, suona la musica di apertura del suo Orfeo, completata da un coro che recita un testo sacro.
Si trovano poi continuamente analogie tra l’espressione esacerbata dei testi sacri e il modo del tutto nuovo di mettere in musica un dramma profano, che si sente soprattutto nei brani dedicati ai solisti, dove l’espressione molto morbida accompagna perfettamente gli estratti del Cantico dei Cantici per parlare meglio dell’amore e della sensualità in ciò che è sacro. Questa distanza divina e secolare tra due mondi oggi separati probabilmente non esisteva.
Il Vespro della Beata Vergine è un esempio lampante di questa volontà di unire le arti in una vera e propria drammaturgia, anche se non fu mai messo in scena. È molto probabile che sia stato eseguito per la prima volta nel palazzo del Duca di Mantova, probabilmente non nella sua interezza e con un numero di musicisti ridotto in proporzione alle risorse di questa città.
Nonostante sia stata composta tre anni prima del suo arrivo in città, la partitura del Vespro incarna perfettamente Venezia: offre una musica proveniente da culture diverse, a immagine dell’architettura bizantina della Basilica di San Marco e del carattere così cosmopolita di questa città, crocevia di civiltà. Ad esempio, credo che ci sia una forte correlazione tra la tecnica vocale richiesta da Monteverdi ai suoi solisti e quella che potremmo chiedere ai cantori di tradizione ashkenazita nelle sinagoghe, o anche ai muezzin. Sappiamo che queste tradizioni erano presenti a Venezia in quel periodo e convivevano, anche attraverso gli scambi transculturali e commerciali della città sulle sponde del Mediterraneo e del Medio Oriente.
Per riscoprire il vero senso della partitura mi è sembrato interessante disporre in modo opposto un’interpretazione musicale fedele come avrebbe potuto fare Monteverdi e un orecchio musicale contemporaneo per andare oltre la ricerca musicale storica e restituire un universo molto creativo e innovativo.
Ciò si esprime attraverso la ricerca dei toni orchestrali e del continuo a corde pizzicate che offrono numerose possibilità orchestrali, sottolineando fortemente il ritmo e l’armonia.
Ne consegue anche la presenza di numerosi strumenti che interpretano la parte del basso (tradizionalmente improvvisata dal continuo) come il serpentone (strumento molto raro con un suono morbido vicino a quello dello Shofar ebraico), il dulcian (antenato italiano del fagotto), il lirone (strumento a 16 corde a pizzico), il contrabbasso, l’organo o anche le viole da gamba. Questo suono, solitamente portato dalle note più basse, permette un equilibrio ottimale con il suono brillante degli ottoni ma anche con le voci, generalmente scritte in lunghe gamme vocali e talvolta con acuti».
Simon-Pierre Bestion, direttore
